L’importanza del reportage.
La fotografia di reportage è un’ottima scuola di fotografia.
Ci sono fotografi che fanno fotografie e basta.
Ci sono fotografi che fanno reportage… fotografici.
Chi sbaglia? probabilmente nessuno dei due, ma di sicuro uno dei due gruppi si sta perdendo un universo fotografico immenso. Questo universo fotografico è la fotografia di reportage.
Cosa è il reportage? E’ un racconto fotografico fatto di immagini (poche) e parole (ancora meno) che spiegano come, quando e perché “succede qualcosa”. Quindi con il reportage si racconta una storia. Persino la fotografia stessa può essere raccontata attraverso il reportage… Se penso ai vari generi fotografici che meno mi interessano, tra cui per esempio la fotografia macro, non posso fare a meno di affermare che guarderei con interesse un reportage fotografico proprio sulla fotografia macro.
Perché?
Proprio perché non interessandomi il genere macro, che ti sbatte in faccia la testa di una farfalla in modo così ravvicinato da vedere se ha la bocca sporca o meno, e che per forza di cose rimane quindi una immagine fine a se stessa, credo altresì che un racconto di come si è arrivati a scattare quella fotografia, possa essere molto più interessante da guardare.
Potremmo partire per esempio da come si prepara un fotografo che fa macro, a che ora si sveglia, che attrezzatura prepara e come la prepara. Il viaggio che percorre per arrivare al posto dove troverà il suo fiore su cui puntare la sua apparecchiatura, come monterà la sua apparecchiatura, come si muoverà, come imposterà la macchina fotografica come userà la luce, le slitte e infine come scatta… potremmo fotografare anche l’espressione del suo viso che lascia vedere la soddisfazione che gli ha dato lo scatto appena ottenuto e così via…
Il risultato finale di una foto macro e il risultato finale di un reportage su di un fotografo che scatta foto macro credo non sia nemmeno paragonabile.
Diciamo che la foto della testa della farfalla presa singolarmente e che di solito si vede nei forum o sui social network potrebbe essere la copertina o l’immagine di chiusura del nostro reportage.
Prendere come esempio la macro fotografia non vuol dire screditare il genere macro. Ma credo che in genere chi guardi le foto macro sia un appassionato di macro anche lui. Non se ne esce. Come coinvolgere qualcuno che con è interessato al genere? Facendo capire lui come si arriva al risultato finale, ossia come si ottiene quella foto, coinvolgendolo e portandolo passo passo fino alla fine del racconto. Stesso discorso può essere fatto per la fotografia still-life, per la fotografia di matrimonio, per la street, per il nudo, per la fotografia di paesaggio e così via… giusto per fare un altro esempio al volo parlando della foto di paesaggio, chi non guarderebbe con interesse un reportage sulla fotografia di Fontana?
Si passerebbe da un pubblico di soli appassionati al genere, ad un pubblico infinitamente più vasto. Questa teoria è applicabile praticamente a tutto…
Di solito per un buon reportage non occorrono più di dieci o dodici foto (parere personale e comunque non generalizzabile per tutti i tipi di reportage). Meno si corre il rischio di raccontare male, oltre si rischierebbe di far perdere interesse in chi guarda la nostra storia.
Ho scoperto da circa un anno la bellezza e l’importanza del reportage, e confesso che oltre a farmi crescere fotograficamente, mi ha anche aiutato nei rapporti umani con le persone che fotografo. Prima ero timido, oggi dirigo le persone sul set fotografico. Interagisco e non rubo gli scatti. Passo intere giornate insieme a loro. Anche la notte se necessario, perché se sto raccontando un lavoro che si svolge di notte, l’unica soluzione è stare insieme a loro tutto il tempo necessario, fino a che la mia storia non è completa.
Questo approccio alla fotografia permette di crescere come persone, come fotografi, e anche culturalmente.
E’ il caso di un mio reportage sui fornai. Gente che si sveglia alle sette e va a lavorare alle otto… sembra tutto nella norma tranne per il fatto che Antonio Rocco e Damiano si svegliano alle sette di sera e vanno a lavorare alle otto… di sera. Siamo stati insieme per tutta la loro giornata lavorativa, dall’inizio alla fine del processo di panificazione. Abbiamo passato tante ore insieme, abbiamo parlato, si è creato un legame tra me, fotografo, e attori protagonisti del mio racconto, i fornai. Il servizio fotografico è iniziato alle venti di un venerdì sera ed è finito alle tre e mezza della mattina del sabato. In quasi otto ore chiusi di fatto in una stanza, si crea un legame con le persone che sono li con te, ed è impossibile che succeda il contrario. La forza del reportage sta proprio qui. Crea inevitabilmente dei rapporti umani che altrimenti non esisterebbero.
Ho scattato tante fotografie nelle quasi otto ore che mi hanno visto impegnato nel mio reportage. Queste sono quelle selezionate. Il mio racconto di otto ore in dodici foto.












Il mio reportage si chiude qui, ho raccontato una notte di lavoro di queste persone straordinarie, Antonio, Rocco e Damiano che tutte le notti ripetono questi gesti antichi e bellissimi della panificazione. Per ricollegarmi al discorso della fotografia macro, posso affermare che una qualsiasi di queste dodici foto prese singolarmente avrebbe una valenza sicuramente inferiore rispetto all’insieme delle foto che formano il mio reportage.
Chiunque faccia le foto che vuole, come vuole e quando vuole. Io come sempre cerco di dare spunti di riflessione e magari ispirare qualcuno, perché no. Stiamo facendo chiacchiera da bar… come già ho avuto modo di anticiparvi qui… http://trabuioeluce.com/il-primo/
Il mio ringraziamento va a Gabriele, amico senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile e naturalmente ad Antonio, Rocco e Damiano che mi hanno sopportato per tutta la notte.
Ci si legge nel prossimo post. Grazie a chi avrà avuto la pazienza di leggere tutto.
Chiudo